Tringali, il cronista-detective in cerca della verità

10.07.2023

Pubblicato 2 anni fa, il 1 Gennaio 2022 di Giuseppe D'Onchia 

Apartitico dal 1999 dopo una lunga esperienza maturata nel Partito Comunista e in Rifondazione, di cui è stato segretario di sezione a Comiso. Si dichiara attivista pacifista e nel suo tempo libero, matita e fogli in mano, si dedica interamente alla realizzazione di vignette. Lui è Emilio Tringali, 55 anni, vittoriese di nascita e residente a Pozzallo. Appassionato di cronaca nera e giudiziaria (un cronista -detective) ha scritto un libro, il cui titolo è un ossimoro vero e proprio: "Sbirromafia". Il sottotitolo è ancora più marcato, diretto, esplicito e non lascia spazio a nessun equivoco: "La mafia delle mafie, la fine di Emmanello e il sistema Montante".

Chi è lo "sbirro mafioso"?

"È un funzionario pubblico venduto, traditore del giuramento di fedeltà allo Stato, che agisce in favore del "sistema". E per "sistema" intendo il gruppo di potere dominante occulto del momento, la "casta", che comprende lobby industriali, mafie, politica, massonerie".

Nel libro si fa riferimento a fatti e personaggi che orbitano nelle province di Ragusa e Caltanissetta. Si tratta di terre di trincee?

"Sono "luoghi del destino". Centrali dei prototipi nazionali dei "sistemi". Non manca nulla qui, "oro nero" ed "oro verde", presidii militari fondamentali, traffici di ogni genere (narcotici, umani, d'armi)".

Tra le pagine del tuo manoscritto, definisci Antonello Montante, ex potente leader degli industriali in Sicilia e sotto processo in Appello per corruzione, criminalmente magistrale nello svuotare il fronte antimafia. In che senso?

"Montante ha abilmente costruito il suo personaggio pubblico e lo ha imposto alla politica e alle istituzioni, modulando la strategia, fino ad arrivare a tenere tutti in pugno attraverso il dossieraggio, con relativo ricatto verso tutti. L'antimafia è la sua vittima più eccellente. Vedere don Luigi Ciotti di Libera, difenderlo allo spasimo malgrado le evidenti prove oggettive (registrazioni audio, decine di testimonianze), lascia basiti. Persino lo scrittore Andrea Camilleri si prestò, inventando bugie congeniali al "paladino della legalità" cavalier Calogero Antonello Montante".

Cosa vuoi dire quando scrivi che Cosa Nostra comincia a penetrare in politica e si fa progressivamente istituzione a se stessa, avendo un rapporto diretto con le masse popolari?

"Il rapporto tra Democrazia Cristiana e "Cosa nostra" è verità processuale e storica. La mafia, agevolata dalla politica, è stata protagonista della ricostruzione post-bellica e portatrice, quindi, di lavoro e di sviluppo. In breve, il popolo capì che era più efficiente dello Stato".

Definisci la "Stidda" ripresa e rimodernata con vaga ambizione di patriottismo campanilistico. Sarebbe?

"La criminalità comune entrò a contatto con elementi di "Cosa nostra", arrivati dalle metropoli siciliane per provvedimenti di obbligo di dimora, scontrandosi sugli interessi che questi nuovi "forestieri" cominciavano ad erodere al territorio, prima esclusivo per gli autoctoni (pascoli, commercio, racket …). Per galvanizzarsi, i delinquenti locali si riunirono sotto un antico cartello pseudomafioso, la "Stidda", originata nei territori dell'agrigentino e nel nisseno tra i pastori. Simbolo di adesione e appartenenza, un tatuaggio sulla base del pollice, cinque semplici puntini disposti a stella".

Quali sono le differenze tra Cosa Nostra e Stidda?

"Abissali. "Cosa nostra" è strutturata da un suo codice articolato e disciplinata da procedure che passano per una catena di comando. Entra in crisi solo a seguito del capolavoro giudiziale che fu il "maxi processo", ma ne sopravvive per la capacità di rigenerarsi attraverso l'uso delle stesse istituzioni e della grande finanza (sistema Montante, ad esempio). Il periodo "corleonese" non deve trarre in inganno. Per cui, a differenza della "Stidda", "Cosa nostra" rappresenta un'entità onnipresente nella storia moderna italiana ed internazionale. La "Stidda" è un tentativo di rivendicazione territoriale da parte di giovani criminali ambiziosi che, brutalmente, vogliono avere un ruolo autonomo riconosciuto da Cosa nostra".

Quando scrivi di imprenditorie pulite, a cosa ti riferisci in particolare?

"Quelle funzionali al "sistema" che vengono acquisite o affiliate. Lavatrici, stipendifici, coperture. Montante è un artista nel dipingere aziende complici come "vittime della mafia", che per questo ottengono benefit vari e le "patenti della legalità" emesse dalle prefetture (white list). Il metodo mafioso più comune per insinuarsi nelle aziende, pulite ma in difficoltà (spesso causate ad arte), consiste nel soccorrerle economicamente, al momento, ed indurle a cedere le quote o rami d'azienda a nuove società costituite al bisogno, mandarle al fallimento dopo aver trasferito beni, personale e clientela. Per questo, un esercito di commercialisti e ragionieri ha sostituito parte di quello dei "picciotti" con la 7 e 65".

Sostieni che la Stidda è un utile capro espiatorio, mediatico poligono repressivo della potenza statale. La definisci una formula vincente di propaganda della distrazione, argomento di campagne elettorali antimafia retoriche…

"Lo afferma anche Attilio Bolzoni in una sua audizione presso la Commissione parlamentare antimafia nazionale. Appositamente, la stampa blasonata del "sistema", giornalisti e scrittori, esaltano le gesta della "Stidda" per coprire la delicata fase di metamorfosi di "Cosa nostra" che diventa, con Montante, partner di Confindustria. Così, piccoli criminali legati alla "Stidda" vengono elevati a "boss mafiosi". Il tutto per dare, alla pubblica opinione, la sensazione di continuità della lotta alla mafia e la necessità di mantenere tutto l'apparato elefantiaco della gestione dei beni sequestrati. Beni che, come sappiamo, finiscono spesso in mano alle solite associazioni oppure, velatamente, a "Cosa nostra". La realtà è che Brusca esce libero, ricco e i giudici Falcone e Borsellino giacciono da decenni sottoterra. Chi ha vinto? La Sbirromafia".

Daniele Emmanuello, rimasto ucciso il 3 dicembre del 2007 durante un conflitto a fuoco con la Polizia che lo aveva scovato nell'Ennese, dopo anni di latitanza, lo descrivi come indisciplinabile ed irredimibile e disfarsi di lui è di vitale importanza…Disfarsi sembra eccessivo, non credi?

"Ho cercato di immaginare l'uomo, ma per i fatti miei, senza che ciò influenzasse la parte di "Sbirromafia" che lo riguarda. Mi è venuta in mente, invece, un'altra persona, Claudio Motta, una delle vittime della strage di San Basilio del 2 gennaio 1999 avvenuta a Vittoria. Claudio lo "beccai" anni fa mentre rubava un utensile esposto al pubblico durante la Fiera Emaia, dove io ero responsabile di questa esposizione. Lo raggiunsi, mi ripresi l'oggetto e lo rimproverai amorevolmente. Gli offrii del denaro per fargli capire che chiedere è più produttivo di rubare. Rifiutò il denaro. Mi spiegò che per lui era importante rientrare con la refurtiva e dimostrare così di essere stato lui a rubare. Altrimenti, a mani vuote, avrebbe preso le legnate. Viveva, cioè, una condizione di schiavitù. Ed era adolescente, a quei tempi. Non dimentichiamoci mai che è anche il contesto a creare il delinquente. Daniele Emmanuello era il nipote di Angelo "furmiculuni". Accusato di tante malefatte (anche del sequestro del piccolo Di Matteo, poi assolto), di certo è colpevole di sola associazione mafiosa, unica condanna definitiva. Sicuramente ha carisma. Per certe mentalità mafiose, gli fa onore l'aver vendicato lo zio. Emmanuello ha rapporti con 'Piddu" Madonia. È, cioè, un'interfaccia tra "Stidda" e "Cosa nostra". Tiene duro perché rappresenta un mito. Eliminarlo ha un valore simbolico. Alla sua morte, da un lato Crocetta festeggia la "liberazione" di Gela, dall'altro "Cosa nostra" si libera di una gran rogna … e, da entrambi, la "Sbirromafia" accontenta due clienti".

Insisto. Perché ritieni che la vicenda della morte di Emmanuello, sia stata blindata per zittire ogni perplessità sul nascere, glissando su valutazioni tecniche e peritali d'indagine?

"Le circostanze della morte di Daniele Emmanuello restano oscure. La dinamica inverosimile. Angelo Ruoppolo, il cronista di Teleacras, lo intuisce subito. Il fatto è stato ricostruito per l'opinione pubblica. Piero Grasso e Francesco Forgione assicurano "piena luce". Resteranno, invece, zitti zitti. La moglie della vittima non nomina un perito di parte per l'autopsia, che viene svolta dal solito accreditato. Il procuratore di Caltanissetta, Renato Di Natale apre un fascicolo contro ignoti di cui nessuno segue l'epilogo. Ammesso che ci sia. Chi sparò? Chi condusse realmente il blitz? Chi vide nella "folta nebbia" il latitante fuggire (tutti e 30 o uno solo)? Come fece a centrarlo in testa, a distanza, al buio e con la nebbia? Emmanuello percorre di corsa 37,5 metri (dalla finestra al burrone) e nel frattempo ingoia 6 pizzini come se fossero piccoli semini di sesamo (o respiri o inghiotti)? Non serve essere il "Tenente Colombo" per capire che le cose non quadrano, di brutto! Tutti tacciono … soprattutto Emmanuello!"

Sostieni che a molti non interessa il come sia morto Emmanuello, importa solo che sia morto, eliminando un "mostro". Cosa ti spinge a sostenere questa tesi?

"Da vergognarsi. Esponenti della società civile che commentano "meglio lui che un agente!". Emmanuello sarà stato un mostro? Non lo so. Certo meno di Giovanni Brusca, pluriassassino attualmente libero e ricco cittadino. Ora, la campagna elettorale di Crocetta parte dalla decisione di Montante. È un pezzo della sua strategia. Per cui, la sconfitta del clan di Emmanuello proclama il sindaco di Gela a "eroe del no pizzo". La vecchia Democrazia Cristiana, ora Udc, lo appoggia. Il "San Giorgio" che sconfigge il drago, il "mostro mafioso" incarnato da Daniele Emmanuello. In più, la cacciata della moglie da un posto di lavoro precario al comune, ad infierire. E tutti inebriati della vittoria, pompata da media e pezzi da 90. Luci blu intermittenti e sirene, coreografie e spettacolo. La passerella antimafia".

Avere trovato nell'esofago e nello stomaco di Emmanuello dei pizzini, non è però una "leggenda metropolitana", non credi?

"I "pizzini" sono il fondamento delle operazioni successive. Ho forti dubbi. Mi piacerebbe che tutte queste prove fossero fruibili ed esaminabili, come il fascicolo sull'omicidio. Però la legge lo vieta, a meno che non si è parte nei procedimenti giudiziari specifici. Ma questo è paradossale! Il giudice emette le sentenze in nome del popolo italiano però il popolo italiano non può vedere cosa ha determinato le sentenze a suo nome. Sapremo mai la verità?"

Daniele Emmanuello è stato indicato dalla magistratura e dalle cronache giudiziarie come un boss. Anche numerosi pentiti hanno parlato di lui. Non stiamo parlando del classico ruba galline…

"Senza dubbio, Daniele Emmanuello ha un ruolo di spessore nella storia criminale della Sicilia. È certo, come già accennato, il suo rapporto con "Piddu" Madonia. Però i fatti raccontati da "pentiti", cronisti, giornalisti e scrittori d'inchiesta spesso risultano alterati da superficialità o condizionamenti. Io non condanno, io non assolvo. Mi limito ad analizzare i fatti basandomi su sentenze, rapporti e cronaca. Dal confronto di essi cerco di ricavare una logica, liberamente, con onestà intellettuale e senza padroni o linee editoriali imposte. Non è un caso che mi manca l'editore e ho auto-pubblicato "Sbirromafia" sulla piattaforma "Amazon". Il giornalismo non è solo un mestiere, è una missione sociale indispensabile per tutti".

Come ritieni la condanna in primo grado a Montante (14 anni per associazione finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico)?

"Onestamente, non ho letto le 1.350 pagine della sentenza del giudice Luparello. Io, a priori, darei già l'ergastolo per alto tradimento a chi ha passato le informazioni a Montante attraverso l'accesso ai sistemi informatici dei servizi segreti. Si badi bene, si tratta dei vertici. Spaventoso! Degli 007 al servizio di "Re Montante". Se solo penso che ci tenevano sotto controllo telefoni ed email … Vorrei che la gente comprendesse che hanno utilizzato e falsificato dati e documenti anche per rovinare gli avversari di Montante, gente perbene e innocenti. È lo scandalo più eclatante degli ultimi decenni ed anche il più taciuto".

La politica si nutre della mafia o è l'esatto contrario?

"Non sono entità omogenee, specie la politica, e spesso coincidono. Gli stereotipi sono artefatti giornalistici di comodo. Entrambe hanno a che fare con un potere monolitico più forte, dentro le istituzioni, quello che io chiamo "la Sbirromafia". Questa agisce su tutti i territori, su tutti i fronti, in tutti gli ambiti. Ad esempio c'è il "caso Boda", la dirigente del ministero dell'istruzione, che lo scorso aprile si gettò dalla finestra del suo avvocato: contiene prove di aderenze al "sistema". Nell'ambiente, sapevamo già l'anno precedente dei collegamenti ed era nelle cose la sua imputazione per reati con cifre esorbitanti. Un'inchiesta che sto riprendendo, interrotta dalla scomparsa di un mio carissimo ed esperto collaboratore".

Come si combatte la mafia?

"Con gente capace. Lo può fare chiunque lo senta come un dovere civico. Il mio motto è "la polizia siamo tutti". Si fa leggendo negli albi pretori dei comuni e confrontando i costi delle forniture con quelli sostenuti da altri comuni virtuosi. Identificando chi compra più di una casa all'asta. Con la richiesta di ispezioni ministeriali. Insieme, crescendo, entrando in politica per batterci i pugni dentro. La politica è la chiave. Con il controllo delle infrastrutture; con il ripristino della legge elettorale costituzionale e del finanziamento pubblico ai partiti, soprattutto. Con l'agire di ciascun cittadino da pubblico ufficiale. La lotta alle mafie è un dono ai futuri cittadini, ai bimbi di oggi. Possiamo davvero costruire una nuova società basata sulla dignità umana, sul piacere della conoscenza e della cultura, sulla bellezza in tutte le sue forme, artistiche e naturali. Vinceremo, prima o poi. Non si scappa".

Tringali ha dedicato la sua opera letteraria al ragusano Giovanni Spampinato, giovane corrispondente da Ragusa per l'Ora di Palermo e l'Unità. Aveva 25 anni, quando fu assassinato con 6 colpi di pistola sparati da due pistole. Pagò con la vita perché aveva semplicemente cercato la verità.

"Fin dalla scuola primaria, andrebbe insegnata la logica e la ricerca della verità; così come l'ipocrisia, per dare la possibilità di conoscerla e decidere se viverci o combatterla". 

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