IL CASO: Montante (Confindustria)
Pubblicazione: 24.05.2012 - int. Antonello Montante
ANTONELLO MONTANTE di Confindustria lancia un appello per utilizzare i beni sequestrati alla mafia, il cui valore ammonta a 20 miliardi di euro, per fare girare la nostra economia
SBIRROMAFIA
Montante spiegava al "sussidiario" il suo protocollo della legalità per liberare l'imprenditoria dalla mafia. Una "rivoluzione" che avrebbe messo le mani sulle decine di miliardi di euro confiscati, da gestire con "Libera". Non solo "una montagna di soldi" ma, soprattutto, il potere di stabilire quali imprese favorire e quali emarginare, disponendo della complicità di uomini corrotti della politica e delle istituzioni a tutti i livelli. Onore ai magistrati e alle forze di polizia che hanno fermato questo piano mafioso. Onore, soprattutto, ai giornalisti e agli scrittori che hanno indagato e descritto l'articolato "Sistema Montante".
Ecco le parole di Montante ...
Salvatore Petrotto
Venti miliardi di euro congelati e inutilizzati. E' il valore dei beni che lo Stato ha sottratto alla mafia, come campi, imprese e interi palazzi bloccati dalla burocrazia. Quando non sono regalati di nuovo a Cosa Nostra cedendoli a consorzi legati alla malavita. Antonello Montante, delegato nazionale per la legalità di Confindustria e presidente del Gruppo Montante, lancia un appello per sbloccare questi beni e utilizzarli per fare girare la nostra economia. "La sfida tra lo Stato e la mafia – sottolinea l'uomo di Confindustria – si vince anche dimostrando che le istituzioni sanno gestire i beni in modo più oculato e redditizio rispetto alla criminalità organizzata".
Da quali esigenze nasce la sua proposta sull'utilizzo dei beni sottratti alla mafia?
Nasce dalle esigenze di un Paese in default finanziario, costretto a tagliare su tutto, dalla cassa integrazione alle risorse di forze dell'ordine e magistratura. Oggi abbiamo un patrimonio immenso che è stato sottratto alla mafia, pari a 20 miliardi di euro e che va quindi messo a reddito facendolo produrre per recuperare liquidità nei comparti più in difficoltà. Tutto ciò va fatto rispettando lo spirito di chi ha voluto la legge, come la Fondazione Pio La Torre, e salvaguardando i beni-simbolo che non si possono vendere.
Secondo quali criteri vanno venduti gli altri beni?
Le terre vanno coltivate con prodotti d'eccellenza per marchi come Libera. Dove invece ci sono palazzi e immobili inutilizzati, vanno immediatamente messi sul mercato vendendoli o affittandoli. Occorre inoltre un'attenzione particolare alle aziende confiscate e affidate a un management che non sempre è all'altezza della situazione. Se sono gestite male non si recupera nulla e il messaggio che si trasmette è che quando un'impresa è in mano alla mafia prospera, quando invece passa allo Stato fallisce.
Come evitare tutto ciò?
Va creato un organismo di vigilanza, che può essere demandato al ministero degli Interni, ma al suo interno occorre anche la presenza di un magistrato, di Confindustria e di associazioni come Libera e Pio la Torre. Una realtà collegiale per verificare e analizzare le modalità in cui sono venduti i beni sottratti alla mafia, e per evitare che le imprese che acquistano siano a loro volta in mano alla criminalità organizzata. Il tutto con decisioni che vanno prese in tempi rapidi.
Quali criticità vede?
Innanzitutto l'obbligo di affidare i beni confiscati direttamente ai sindaci. Molto spesso in questo modo finiscono in mano ai Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, oppure a sindaci non dotati di strutture tecniche adeguate. I patrimoni sequestrati vengano quindi rimessi sul mercato piuttosto che tra i cespiti comunali. Occorre inoltre che l'Agenzia per i beni confiscati sia messa nelle condizioni di funzionare in modo più efficiente.
Lei come la riorganizzerebbe?
Manager qualificati e competenti presenti sul mercato dovrebbero essere messi a disposizione dell'Agenzia, in modo che possano interloquire con le associazioni di categoria, con i sindacati e con la stessa Autorità di vigilanza dello Stato.
Come agire nei confronti delle aziende?
Bisogna indirizzare le aziende confiscate verso le reti sane, rimetterle sul mercato e avvicinarle alle altre aziende virtuose, preferibilmente appartenenti allo stesso settore, utilizzando tutte le forme di collaborazione, partenariato e partecipazione in consorzi.
Questi ultimi spesso sono gestiti dalla mafia …
Bisogna combattere la forza dei consorzi illegali dentro cui le imprese operavano prima della confisca e dentro cui si lavorava senza problemi grazie alla mafia che non faceva mancare nulla: dalla sicurezza alle commesse (perfino pubbliche) fino al mercato sicuro, anche se tutto avveniva sempre dentro una zona d'ombra blindata.
Per il pm llda Boccassini "gli imprenditori non sono solo vittime dei mafiosi" …
Sposo in pieno la tesi della Boccassini, e che è anche del magistrato Giuseppe Pignatone e del procuratore aggiunto dell'Antimafia, Michele Prestipino.
Non è lo Stato che dovrebbe evitare che l'imprenditore subisca pressioni?
Non è un problema dello Stato, e io concordo con la Boccassini perché molte volte l'imprenditore è miope. Le forze dell'ordine non possono mettere sotto vigilanza interi paesi, interi comparti e intere famiglie. Il compito dello Stato è soprattutto quello di divulgare una cultura della legalità, fin dalle scuole elementari.
Qual è invece il compito dell'imprenditore?
L'imprenditore deve avere la lungimiranza di scegliere il libero mercato e non l'economia controllata dalla mafia. Quando si verifica anche solo una minima pressione della mafia, l'azienda deve denunciarla. Chi non lo fa non è un autentico imprenditore, anche perché in questo modo crea una concorrenza sleale, e dunque deve essere espulso immediatamente da Confindustria.
Per quale motivo?
Non per una forma di moralismo, ma perché noi siamo per il libero mercato. Un imprenditore che sceglie di stare dalla parte della mafia danneggia quindi chi ha scelto il libero mercato, facendogli appunto concorrenza sleale.
(Pietro Vernizzi)