Erano gli anni Ottanta...
Erano gli anni Ottanta, frequentavo l'università di Palermo quando 'don Vito', 'u curtu', 'binnu u tratturi', i Corleonesi insomma...
Il teatro della memoria rende i ricordi a volte belli, affascinanti ed affabulatori. Come in una sorta di gioco degli specchi, l'immagine del passato si riflette in un presente che sembra sempre più incredibile, fantasmagorico ed irreale. Volendo semplificare potremmo dire che la realtà supera la fantasia. Ma il problema è che assai spesso dobbiamo fare i conti con una realtà impalpabile e scialba, manipolata da tanti, troppi addetti ai lavori che, ogni santo o maledetto giorno, ci forniscono delle suggestive o noiose rappresentazioni mediatiche. Quando tutto quanto fa spettacolo, vuol dire che si sono perse le coordinate di quello che ci fanno sempre apparire come il vero, autentico ed unico affresco dei nostri tempi. I suoi contorni sono la brutta copia del classico sfumato Leonardesco o di una tela mal riuscita e da buttare, dimenticata sulla tavolozza da un falsario che ci vuole rifilare una patacca, spacciandola per un dipinto impressionista. L'essenza stessa dei principi e dei valori morali e civili, col passare del tempo, si è affievolita. Il quadro sinottico che ne viene fuori, frutto di un'inguaribile deformità mentale, è assai spesso un superficiale e volgare scarabocchio. Quattro schizzi messi insieme per compiacere e compiacersi.
Fatta questa premessa, per così dire ermeneutica, passiamo adesso alla nostra narrazione, ai nostri ricordi, finora sfuggiti all'assalto di giornali, tv ed internet.
A scanso di equivoci e malintesi voglio fugare alcuni dubbi. Spero di non apparire un inguaribile egotista, un solipsista, un lupo solitario cioè, che guarda solo dentro sé stesso o peggio ancora solo il suo ombelico.
Vorrei iniziare con la mia prima solitaria battaglia per affermare il diritto allo studio. Essa risale agli inizi degli anni Ottanta. Ero semplicemente un povero studente universitario fuori sede che frequentava la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, alle prese con problemi di alloggio. I 'viddrana' di Corleone, Totò Riina, 'ntisu' u curtu' e 'Binnu u tratturi', alias Bernardo Provenzano, quando ho iniziato a frequentare l'università, avevano preso definitivamente possesso, 'manu militari', della città di Palermo e di 'cosa nostra', oggi forse ribattezzata 'cosa nuova'. L'organizzazione piramidale della mafia siciliana, di cui in quegli anni se ne negava persino l'esistenza, sarebbe poi stata puntigliosamente descritta al magistrato Giovanni Falcone da Tommaso Buscetta. Riina ed i suoi 'colleghi', e tra questi il fratello della moglie Ninetta, Leoluca Bagarella, il già citato Provenzano ed i fratelli Brusca, asservirono o fecero fuori tutti quanti i capi mandamento palermitani di cosa nostra.
Nel 1981 si sono accordati con Michele Greco, detto il 'papa', per far fuori il 'principe di Villagrazia', al secolo Stefano Bontate. Il loro compito fu facilitato da un altro 'illustre' corleonese, il geometra Vito Ciancimino che, nel 1950, a 26 anni, si era trasferito a Palermo. Sino agli inizi degli anni Ottanta, 'don Vito' è stato il principale uomo di mediazione tra mafia e politica. Il crisma del potere a tutti i costi gli entra nel sangue, probabilmente, a partire da quando divenne componente della segreteria del più volte ministro Bernardo Mattarella, papà del compianto presidente della Regione Siciliana e del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ciancimino ha ricoperto gli incarichi di consigliere, assessore e sindaco di Palermo. Ma era più che altro la sua attività di manovratore, più o meno occulto, che faceva comodo a Palermo ad un intero sistema di potere. A non rinnovargli più la tessera del partito sarà Ciriaco De Mita nel 1983, nel corso del congresso regionale della Democrazia Cristiana tenutosi ad Agrigento. Ciancimino è stato il principale responsabile del sacco edilizio di Palermo. In una sola notte era riuscito a rilasciare 4 mila licenze edilizie, di cui mille e seicento intestate a tre prestanome. Migliaia di palazzoni e grattacieli furono realizzati, in maniera del tutto disordinata, privi di strade, parcheggi e qualsivoglia opera di urbanizzazione. Ogni porzione di territorio veniva sistematicamente scempiata, grazie al riciclaggio dei proventi del traffico di eroina, di cui cosa nostra, dopo la parentesi marsigliese, negli anni Settanta aveva praticamente il monopolio mondiale. Di notte si bombardava e di giorno si costruiva al motto 'Palermo è bella e noi la faremo più bella!' Sia in centro che in periferia, decine e decine di meravigliose ville Liberty, furono rase al suolo con la dinamite, per piantarvi al loro posto degli obbrobriosi ed altissimi alveari di cemento, dove vi cacciarono dentro la maggior parte dei palermitani in cerca di casa. Furono presi d'assalto anche tutti quanti i 100 chilometri quadrati di lussureggianti aranceti che facevano da corona ed impreziosivano la città di Palermo, la cosiddetta 'Conca d'oro'.
Ebbene, io arrivo a Palermo, quando Riina si era sbarazzato di tutti i suoi oppositori, cooptandoli od eliminandoli ed il suo compaesano Ciancimino, continuava ad avere le mani in pasta ovunque. Persino nelle residenze universitarie. Allora, adesso non so, c'era l'usanza a Palermo, da parte di un ente pubblico che allora si chiamava Opera Universitaria e che oggi si chiama ERSU, di spendere ogni anno 10 miliardi delle vecchie lire, per affittare anche delle catapecchie semi abbandonate, nelle cui fatiscenti stanze, spesso in condizioni pessime, venivano ospitati a titolo gratuito gli studenti fuorisede come me che, per meriti e condizioni di reddito, ne avevano diritto.
Salvatore Petrotto