Borsellino e Falcone
Racalmuto - anno 1991 - convegno dal titolo 'Il Paese della Ragione' - relatori: Paolo Borsellino, Claudio Martelli e Calogero Mannino. Presente anche Giovanni Falcone. Questa è una delle pubblicazioni, molto provocatorie, che ho curato, pubblicato e distribuito per l'occasione
Come una specie di Forrest Gump mi sono ritrovato sempre in mezzo alla grande e terribile mischia dei tanti misteri d'Italia. Nel 1992, ad esempio, ero al Foro Italico di Palermo, quando fui intervistato dalla troupe di Michele Santoro che allora, grazie alla sua celebre trasmissione Samarcanda, era il più seguito ancor man italiano. Quella mia intervista fu trasmessa in diretta e creò un putiferio! L'allora segretario cittadino della Democrazia Cristiana di Racalmuto segnalò a qualche organo di informazione e forse anche al Ministero dell'Interno che, in virtù del codice di autoregolamentazione in vigore nei periodi elettorali, visto che ero candidato alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Nazionale, non potevo e non dovevo essere intervistato. In quei momenti assai tragici e convulsi, mafia ed ancien regime, si misero pesantemente all'opera. Mi telefonò infatti Leoluca Orlando, leader della 'Rete', il movimento politico a cui avevo aderito, per comunicarmi che Michele Santoro gli aveva riferito che, per colpa mia, di quella mia intervista del tutto fortuita, casuale ed improvvisata, gli avevano chiuso la trasmissione.
Poi abbiamo capito perché !Ma le vere motivazioni relative al kaput di Samarcanda, erano chiaramente ben altre. Allora stava letteralmente per saltare in aria tutto quanto, con l'omicidio Lima, la strage di Capaci e quella di via D'Amelio.
Poi abbiamo capito perché !Per la verità delle inquietanti e sconvolgenti nubi si erano già addensate l'anno prima che iniziasse la più terribile stagione stragista della mafia, debitamente spalleggiata da alcuni pezzi deviati dello Stato.
Il 26 settembre 1991 c'eravamo anche noi al teatro Biondo di Palermo, quando l'allora giovane virgulto della Democrazia Cristiana, nonché futuro presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro si lasciò andare, mentre il giornalista Michele Santoro gli porgeva il microfono. Si trattò allora di un collegamento tra le seguitissime trasmissioni Samarcanda e Maurizio Costanzo Show, per onorare la memoria dell'imprenditore Libero Grassi, caduto per mano della mafia. Sul palco del teatro palermitano, oltre a Rita Dalla Chiesa e Claudio Fava, c'era Giovanni Falcone che veniva inquadrato dalle telecamere mentre assisteva, con un atteggiamento sornione ed il volto sorridente alle esternazioni del Cuffaro che sosteneva, a torto od a ragione, che c'era in atto una vera e propria persecuzione giudiziaria nei confronti di un'intera classe dirigente siciliana della Democrazia Cristiana.
Poi abbiamo capito perché !Come è noto, il 23 maggio 1992, esattamente sette mesi e ventisette giorni dopo quel collerico attacco mediatico, il compianto giudice Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta salteranno in aria a Capaci. Nella sua scomposta e micidiale foga, sempre nel corso di quella storica staffetta televisiva tra RAI e Mediaset, il Cuffaro non fece sconti nei confronti sia di Santoro che di Maurizio Costanzo, dicendo testualmente: "il giornalismo mafioso che è stato fatto stasera fa più male alla Sicilia di dieci anni di delitti e non ve ne rendete conto. Se siete servi di qualcuno, se siete servi di qualcuno, se servite a qualcosa, va addebitato alle vostre coscienze. Le vostre coscienze devono rispondere del danno che avete fatto alla Sicilia". Sta di fatto però che il 14 maggio del 1993 anche Maurizio Costanzo ha subito un attentato mafioso, all'uscita del teatro Parioli di Roma. Per puro miracolo è rimasto vivo. Forse in quell'ormai lontano settembre del 1991, sarebbe stato meglio per Totò 'vasa vasa', alias Cuffaro, limitarsi alla sua irrefrenabile attitudine a sbaciucchiarsi un intero popolo siciliano, che tante invidie suscitava presso quegli avversari politici, a corto di consensi elettorali. Era meglio non inveire contro qualche magistrato e contro il giornalista Santoro e, soprattutto, contro Maurizio Costanzo. Poi, diavolo fallo apposta, qualche decennio dopo, tra tante sue fortune politiche, si è messa in mezzo pure una dose di sfortuna micidiale. Quella sua indimenticabile veemenza verbale al teatro Biondo fu molto apprezzata dal famigerato boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano che, il 9 aprile del 2001, l'anno in cui Totò diventa Presidente della Regione, intercettato in carcere, ebbe modo di apprezzarne il coraggio e complimentarsi con lui. Senza contare poi che i suoi successivi rapporti ambigui con ambienti mafiosi gli costeranno assai cari: 1.785 giorni di carcere per favoreggiamento aggravato alla mafia.
Consentitemi adesso di rassegnarvi un mio ulteriore personale e particolare ricordo, relativo ad una forte e provocatoria presa di posizione contro l'allora potentissimo Ministro democristiano Calogero Mannino, risalente al luglio, sempre di quell'anno prima delle stragi, e cioè del 1991.
Ed allora si che ci voleva a coraggio a contrastare simili personaggi!
Collaboravo, da giornalista pubblicista, con il giornale LA SICILIA di Catania e con Tele Video Agrigento, quando pubblicai nella prima pagina di un giornale, 'La gazza ladra', tutta la cronaca della morte di Giuseppe Fava.
Poi abbiamo capito perché !Io ed un gruppo di amici, riproducemmo inoltre anche un suggestivo manifesto con tutte le foto delle vittime eccellenti della mafia. Dai poliziotti, ai giornalisti, ai magistrati, ai politici trucidati ed uccisi dalla mafia, paragonando tali eccidi a dei veri e propri 'interventi straordinari per il Mezzogiorno'.
Ed in calce a quel lugubre ed evocativo album fotografico scrivemmo: La Sicilia Ringrazia. Si contestava il fatto che gli unici interventi a favore, si fa per dire, dell'Isola, erano le sistematiche, cruente e truculente uccisioni di tutti coloro i quali contrastavano la mafia.
Ricordo che, ai primi di luglio del 1991, siamo in piena stagione di stragi mafiose, anche a Racalmuto, grazie a questa idea partorita dalla mente di un amico, Carmelo Arrostuto, al quale di sicuro non ha fatto mai difetto una particolare dose di creatività, tappezzammo il paese con questa tragica antologia fotografica, pregna di toccanti ricordi commemorativi, per onorare la memoria di quanti pagarono con la vita le loro azioni di contrasto contro la mafia.
Il Comune di Racalmuto ebbe la forza ed il coraggio, con in testa l'allora sindaco Enzo Sardo ed il suo vice, il futuro onorevole Vincenzo Milioto, di organizzare un convegno sulla Giustizia dal titolo che poi è diventato proverbiale e che a noi Racalmutesi ci è rimasto appiccicato per sempre, come si direbbe, a futura memoria e cioè: 'Racalmuto – Paese della Ragione'.
Anche se, per la verità allora lungo le strade, nelle piazze e nelle campagne della Regalpetra di Leonardo Sciascia, si ragionava solo a pistolettate e colpi di lupara.
Poi abbiamo capito perché !Persino in uno dei tre giorni in cui si svolse quel convegno, ed esattamente sabato 6 luglio 1991, fu ucciso tra la folla del mercato settimanale, un commerciante ambulante di Canicattì, tale Ignazio Orlando.
Poi abbiamo capito perché !Mentre il 23 dello stesso mese di luglio, si verificava la prima strage di Racalmuto, quando venivano 'stinnicchiati', uccisi, tre racalmutesi: Diego Di Gati, Salvatore Gagliardo e Luigi Cino, assieme ad un incolpevole ambulante marocchino, Ahmed Bizguirne.
Poi abbiamo capito perché !Il tutto avveniva proprio lì, nella stessa piazza, piazza Umberto, dove il 5, 6 e 7 luglio si erano dati appuntamento l'allora Ministro della Giustizia, Claudio Martelli, l'allora Ministro per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, Calogero Mannino, ed i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per discutere di mafia e Giustizia.
Nel paese di Leonardo Sciascia si stavano continuando a mietere quelle che, alla fine della macabra conta, furono più di una ventina di vittime della mafia.
Ed io pubblicavo servizi a commento di ciò che stava avvenendo nel Paese della follia omicida e stragista, nel giornale LA SICILIA, costretto, tristemente e con una non poca angoscia esistenziale ad aggiungere, anche in quei giorni, in quei mesi, in quegli anni, i morti di Racalmuto facenti parte, per lo più, delle due cosche mafiose in lotta tra di loro, stiddra e cosa nostra, i cui componenti, in alcuni casi erano anche imparentati in maniera trasversale. Si trattava di una vera e propria guerra civile combattuta da decine e decine di miei concittadini, che erano affetti da un male incurabile, il mal di mafia.
Alcuni morti ammazzati si trovarono lì per puro caso, nel posto sbagliato, in un momento sbagliato, quali il marocchino Hamed Bizguirne o il mio ex compagno di scuola, Carmelo Anzalone, ucciso perché si trovava a passare in via Garibaldi, mentre si consumava la seconda strage di mafia, quella del 5 novembre del 1992.
Per queste vite innocenti, spezzate ed altre ancora, non ci si dà pace.
E scusate se ho citato soltanto alcune delle vittime delle furie omicide e stragiste di quei tragici momenti della vita di un paese, piccolo frammento di una Sicilia inondata di sangue!
Nel corso di quel convegno "Il Paese della Ragione" svoltosi proprio in uno di quegli anni cruciali per la storia non solo della Sicilia, ma dell'Italia intera, distribuii quel periodico, con quell'agghiacciante collage di foto ritraenti Rocco Chinnici, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pier Santi Mattarella, Pio La Torre, i Giudici Saetta e Livatino, il giornalista Mauro De Mauro, Peppino Impastato, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Giusepppe Fava e Ninni Cassarà, Russo, Di Salvo, Scaglione, Bonsignore e Ciaccio Montalto.
Ero perfettamente consapevole, inoltre, del fatto che qualcuno, ed in modo particolare il Ministro per Gli Interventi Straordinari per il Mezzoggiorno, il saccense Calogero Mannino, ci rimase male, quando vide questi manifesti e la loro riproduzione nel giornale che consegnai anche a lui personalmente.
Associare le foto delle vittime eccellenti della mafia, di coloro che avevano combattuto i peggiori criminali, pagando con la vita, al nome del ministero retto proprio da Calogero Mannino, intitolando quel manifesto Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, fu un idea tropo forte e molto provocante se non, addirittura parecchio insinuante ed allusiva.
Tant'è che l'allora Ministro Calogero Mannino andò a lamentarsi di ciò con due miei cugini, uno dei quali era il papà del giornalista Gaetano Savatteri, appartenenti entrambi proprio alla corrente manniniana della Democrazia Cristiana. Tra l'altro ad intervistare Mannino sul palco di quella kermesse racalmutese fu allora proprio Gaetano Savatteri che allora lavorava presso il Giornale di Sicilia.
Ma la carriera del Savatteri più da scrittore che da giornalista, prenderà il volo esattamente nel 2008, quando scrive un panegirico celebrativo a favore di Antonello Montante, una sorta di plenipotenziario di Confindustria Sicilia e di Confindustria nazionale. Il Montante, malgrado l'aura di sacralità legalitaria ed antimafiosa, cucitagli addosso, anche e principalmente dal Savatteri col libro 'La volata di Calò', come è noto era soltanto un millantatore, un impostore, un falso paladino dell'antimafia, che è riuscito a permeare tutte quante le Istituzioni dello Stato ed a sostituirsi persino agli apparti investigativi e giudiziari, condizionando interi settori economici e politici, in modo particolare della Sicilia. Oggi il Savatteri è felicemente approdato in RAI. Di alcuni suoi romanzi stanno continuando a curare ed a mandare in onda una serie di trasposizioni televisive, più comunemente conosciute come Makari. Questa è solo una brevissima digressione, relativa alla carriera di uno dei tanti intellettuali italiani, prestati da sempre al potere costituito, più o meno malato. Certamente per il Savatteri quella tre giorni racalmutese, fatta di incontri e dibattiti su mafia e politica portò bene. Fu un'occasione per mettersi in bella mostra. Su quel pulpito si avvicendarono, tra gli altri, i magistrati Paolo Borsellino e l'allora ministro della giustizia Claudio Martelli, mentre tra il pubblico, in prima fila, ascoltava il tutto, con religiosa attenzione Giovanni Falcone. Il Savatteri ebbe modo di prendere le misure all'allora potentissimo capocorrente della Democrazia Cristiana, Calogero Manino. Gli fece persino, pensate un po', una domanda apparentemente assai scomoda. Si sincerò di come si era arrivati all'elezione a deputato regionale, nelle liste della Democrazia Cristiana del 1991, di Pasqualino Mannino, fratello dell'allora ministro Calogero Mannino. La candidatura e l'elezione di Mannino junior fu allora imposta al suo partito dal ministro in persona. La qual cosa aveva suscitato un vespaio di polemiche e provocato la fuoriuscita dalla DC di una figura emergente, l'allora consigliere provinciale Vincenzo Lo Giudice. Il Lo Giudice si vide allora costretto a trasmigrare nel PSDI (Partito Socialdemocratico Italiano), riuscendo a prendersi la rivincita ed a farsi eleggere anche lui deputato regionale, dopo che Mannino lo aveva estromesso dalla lista della DC, qualche giorno prima della sua presentazione, per far posto al fratello.
Le imboscate e, come si suole dire in Sicilia, le 'tagliatine di facce', in politica e non solo ovviamente, per favorire questo o quel familiare, non sono storie che appartengono al passato. Non ci meravigliano più di tanto. Come non ricordare cosa sono riusciti a fare, di recente, anche i 'rivoluzionari' 5 Stelle. Basta qui solo ricordare Giancarlo Cancelleri, leader siciliano del movimento di Grillo, già parlamentare regionale ed oggi sottosegretario alle Infrastrutture ha fatto eleggere la sorella Azzurra Cancelleri per ben due legislature consecutive, grazie alla sua collocazione nelle liste bloccate. In altri termini l'ha di fatto nominata parlamentare per 10 anni! Si è comportato nè più e né meno alla stregua di Mannino e forse qualcosa in più. Altri esempi del genere ovviamente non ne mancano.
Poi abbiamo capito perché !Negli anni successivi sia il Mannino che il Lo Giudice, più comunemente conosciuto come 'mangialasagni', caddero entrambi in disgrazia, per via di una serie di guai giudiziari. Il Mannino prima è stato, come si suole dire nel gergo dei mafiosi, mascariato per i suoi presunti rapporti con la famiglia Caruana, i noti narcotrafficanti di Siculiana, poi verrà arrestato e lungamente processato per la nota vicenda della cosiddetta trattativa Stato-mafia, per poi essere definitivamente assolto in Cassazione.
E' utile a tal proposito rinfrescarci le idee per
Sicuramente, il Mannino ci rimase molto male, a causa di questi manifesti e giornali di forte impatto allusivo.
Poi abbiamo capito perché !